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Forte Cesare, 2013 |
di Luca Antonini, diploma di specializzazione
Arca e residente ad Amelia, Italia
Le foto sono di C. Sezgin
L’Italia è famosa nel mondo per il suo ricco e
diversificato patrimonio culturale e ambientale, in parte ben conservato nei vari
musei di cui è ricco il suo territorio, in parte ancora presente nei siti
storici o archeologici di origine; ciò nonostante, una sua fetta consistente
giace tristemente dimenticato o trascurato.
L’abbondanza di elementi di interesse storico, artistico
e architettonico ha sempre sollevato questioni di conservazione, spesso in relazione alla limitatezza delle
risorse disponibili o alle capacità pubbliche di gestione e di governo. Anche a
livello locale, la mancanza di chiarezza, risorse e linee guida ha spesso ingigantito
i problemi, e le ambiguità hanno facilitato fenomeni criminali quali saccheggi,
atti di vandalismo, oppure dinamiche distruttive avviate da eventi naturali,
come inondazioni o terremoti.
Forte Cesare è il nome
di un complesso di antichi edifici costruiti sulla cima di una collina in
posizione strategica, dominante rispetto ad alcune vallate dell’Umbria
centrale, nel cuore dell’Italia. Amministrativamente, ricade nel territorio
comunale di Montecastrilli, in provincia di Terni: 30 km a ovest di Orvieto, 20
a sud di Todi, 12 a nord di Amelia e 85 a nord di Roma. Forte Cesare è sempre
stato in mani private fino all’inizio del ventesimo secolo, quando entrò a far
parte del patrimonio del Comune di Amelia. Recentemente, l’Amministrazione
Comunale ha venduto Forte Cesare ad un operatore privato, intenzionato a
restaurarlo e riutilizzarlo.
Il sito fu
probabilmente abitato al tempo dei Romani, ma le fondamenta degli edifici oggi
visibili risalgono al VI – VII secolo d.C., quando un forte era stato edificato
lungo la via Amerina, un importante tratto del Corridoio Bizantino. Dopo la
caduta dell’Impero Romano del 476, varie vicende e occupazioni si susseguirono
nell’Italia centrale, fino al 584, quando Ravenna divenne la città di
riferimento dell’Esarcato Bizantino, una sorta di provincia dell’Impero Romano
d’Oriente la cui capitale era Costantinopoli. Il resto dell’Italia era stato
invaso da varie popolazioni provenienti dal nord Europa. Il solo collegamento
sicuro tra Roma e Ravenna era proprio questo corridoio che attraversava
l’Italia centrale da poco occupata dai Longobardi, tra l’attuale Toscana a
ovest e il Ducato di Spoleto a est: partiva dalla via Cassia, pochi chilometri
a nord di Roma, e si riuniva alla via Flaminia pochi chilometri a sud di
Ravenna. Il Corridoio Bizantino era una sorta di passaggio garantito, e al suo interno il tratto indicato come
Via Amerina toccava, tra le altre, le città di Orte, Amelia, Todi e Perugia. E Forte
Cesare, guarnigione fortificata, aveva il compito di proteggere persone e beni
in transito in entrambe le direzioni; probabilmente era anche un luogo di
ristoro, di riposo per la notte, oltre che stazione di posta.
Successivamente, il
complesso entrò a far parte delle Terre Arnolfe, sotto il controllo
dell’Arcivescovo di Spoleto tra il X e l’XI secolo, ma nessun documento
ufficiale precedente al XVI secolo sembra sopravvissuto fino ai nostri giorni.
La prima testimonianza scritta riporta la cessione di Forte Cesare dalla
famiglia Stefanucci agli Atti, una potente famiglia Guelfa originaria di Todi e
dominante su Viterbo.
Tra il XVI e il
XVII secolo, Forte Cesare fu radicalmente trasformato da sito militare a
complesso residenziale. Solo la torre rimase nella sua originaria posizione
dominante, mentre tutte le altre costruzioni vennero ricomprese in una nuova
villa a tre piani.
Fino ad allora,
troviamo il toponimo indicato come “Peroccolo”, in particolare in alcune mappe
redatte nel Vaticano nel XIX secolo ma attestanti la situazione sei secoli
prima. La prima volta che si incontra ufficialmente il lemma “Cesare” per
indicare il sito, risale ad una carta datata 1629; il motivo può essere
ricondotto al nome del condottiero che probabilmente sfruttò quel forte nelle
sue campagne nel corso del XV secolo: Cesare Borgia, il cui casato sosteneva lo
Stato Pontificio nello scontro tra famiglie Guelfe e Ghibelline. Questa è la
ipotesi più accreditata, rispetto alla denominazione ancora oggi utilizzata.
Alla fine del XVIII
secolo, Forte Cesare fu donato dal Vescovo Francesco Atti alla Propaganda Fide,
un’organizzazione creata dallo Stato Pontificio per sostenere attività
missionarie e altre iniziative correlate, inclusa la gestione di terreni e
altri beni immobili. Propaganda Fide lo affittò immediatamente alla famiglia
Verchiani, e pochi anni dopo lo vendette alla famiglia Ciatti, esattamente nel
1808. Angelo Ciatti, ultimo discendente di questo casato, donò l’intera
proprietà alla sua morte (1922) al Comune di Amelia.
La gestione
comunale risultò problematica fin dagli inizi. Col suo testamento, Angelo
Ciatti intendeva indirizzarne le rendite al Collegio Convitto
Boccarini di Amelia, sostenendo in tal modo – con un atto di carità - il
sistema educativo locale. Il collegio, inizialmente gestito dall’ordine
Francescano, passò nel 1932 ai Padri Salesiani; era la più importante scuola
non solo in Amelia, ma nell’intero circondario di piccoli e grandi villaggi,
nel raggio di parecchi chilometri. In accordo alle volontà di Angelo Ciatti,
Amelia divenne il più importante centro scolastico dell’intero territorio
rurale; altre istituzioni di pari livello erano localizzate solo a Todi,
Orvieto e Terni.
Due problemi
emersero dal lascito Ciatti: dapprima una forte opposizione legale da parte di
alcuni famigliari, che tentarono di invalidare la volontà di trasferire la
proprietà al Comune di Amelia. In secondo luogo, mentre Amelia era il Comune
proprietario, terreni ed edifici rientravano nel territorio sotto il governo
del Comune di Montecastrilli; i ruoli erano differenti, essendo il primo
formale proprietario, mentre all’altro competeva l’indirizzo urbanistico e
territoriale. In effetti tale dualismo non sembra abbia inizialmente creato
serie questioni tra le parti, ma senza dubbio costituì la ragione di alcune
incertezze, di mancanza di collaborazione e di alcuni scarichi di
responsabilità che si verificarono nei decenni successivi. Alla fine della
seconda guerra mondiale, terreni ed edifici vennero affittati a locali famiglie
di agricoltori, e successivamente al Molino Cooperativo, che si occupava di
alcune fasi di trasformazione dei raccolti di cereali prodotti nel
comprensorio. E’ specialmente dopo il terremoto del 30 luglio 1978 che le
condizioni di degrado iniziarono a far sentire i propri effetti su terre ed
edifici, e probabilmente in questo stesso periodo iniziarono, o si
accentuarono, furti e saccheggi. Ben prima della conclusione del ventesimo
secolo, il bene si trasformò per Amelia da risorsa a problema.
Nel 1986, il Comune
di Amelia chiese dei contributi pubblici per lo sviluppo economico dell’area,
attraverso il programma P.I.M. gestito dal governo regionale dell’Umbria. Forte
Cesare era formalmente compreso nel patrimonio oggetto di rilancio, in ben tre
misure: la “A”, con 20 ettari di terreni assegnati all’allevamento di daini; la
“D”, tra 120 e 150 ettari destinati all’allevamento di ovini; e infine la “E”,
la proposta di restauro della villa: una scuola professionale per l’agronomia e
l’ospitalità rurale, oltre a un ristorante e a una sezione espositiva per la
promozione delle produzioni locali, erano compresi nel progetto, il cui valore
(per la sola misura E) ammontava a 1,5 miliardi di Lire. Il programma P.I.M.
non fu finanziato, e quindi mai realizzato. Si tratta del solo documento
programmatico esistente, nel quale una vaga visione di soluzione integrata era
stata delineata ed effettivamente tentata, mettendo insieme terra e immobili.
In ogni caso, tali proposte contenevano un grande difetto: la negazione di una
qualsiasi consapevolezza e valorizzazione culturale, storica e paesaggistica,
sia nell’analisi che nelle conseguenti proposte presentate. Conseguentemente,
vent’anni dopo la presentazione delle bozze di progetto in ambito P.I.M.,
questo susseguirsi di approcci muddling
through, o “dell’improvvisazione”, porterà alla vendita di Forte Cesare ad
un soggetto privato, in condizioni di ulteriore abbandono, danneggiamento e
saccheggio.
Quando il passaggio
di proprietà fu perfezionato nel 2005, nessun inventario fu annesso al
contratto. Con riferimento al testamento olografo di Angelo Ciatti,
originariamente Forte Cesare comprendeva:
BENI IMMOBILI – la
villa, circondata da altri 4 edifici minori, le cisterne (elemento molto
importante, in quanto quei territori sono generalmente considerati ricchi di
risorse idriche, con l’eccezione della collina su cui è costruito proprio Forte
Cesare), un grande giardino con vigna, delimitato da un muro perimetrale; la
Cappella; le fonti di acqua; i terreni agricoli (per pastorizia e
coltivazioni); i boschi e la macchia circostante la villa; il frutteto, che
comprendeva ulivi, castagni, viti e altre cultivar
ALTRO – Arredi
sacri, non meglio specificati; mobili, suppellettili e accessori domestici;
dipinti (non specificati nel numero, nella posizione, nella datazione e
nell’attribuzione); altri utensili rurali di uso individuale; bestiame e
raccolti.
Questa elencazione
sembra essere l’unica forma di inventario mai eseguita su Forte Cesare e sul
suo patrimonio mobile e immobile. Una circostanza che lo rende particolarmente
prezioso, nonostante la sua genericità. Gli attuali proprietari hanno nel
frattempo lavorato ad un progetto che mira al recupero strutturale e funzionale
degli edifici, oltre che all’utilizzo economico dell’intera area. Tali progetti
non sono ancora stati approvati dalle competenti Autorità pubbliche. L’iter
autorizzativo prevede il coinvolgimento del Comune di Montecastrilli, della
Provincia di Terni, della Regione Umbria e della Soprintendenza Regionale ai
Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici.
L’idea punta alla
creazione di una struttura ricettiva di segmento superiore con annessi servizi
sportivi e ricreativi, tra i quali un campo da golf da 18 buche e una sezione
termale. Un progetto ambizioso e lungimirante, ma distante dalle radici di quel
pezzo di storia chiamato “Forte Cesare”.
La tesi originale,
da cui è stato estratto il testo sopra riportato, venne redatta in inglese da Luca
Antonini nel novembre del 2012, con lo stesso titolo, a completamento del suo
ciclo di studi con Arca. La professoressa Susan Douglas ha dato un
significativo contributo alla revisione del testo al fine dell’adattamento,
pubblicato il 24 luglio 2014 nel blog di Arca.
Luca Antonini
è laureato in economia all’Università di Torino e ha conseguito il diploma di
specializzazione in Criminologia dell’Arte con Arca nell’anno 2012/13. Dalla
metà degli anni ’90 lavora in progetti di sviluppo locale e sostenibile
co-finanziati dall’Unione Europea. Si è inoltre specializzato nella gestione
delle Organizzazioni Non Governative.